giovedì 22 novembre 2012

"Apologo sull'onestà nel paese dei corrotti" di Italo Calvino

“C’era un paese che si reggeva sull’illecito Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.
[……]
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili.
In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere.
Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.
[…..]
Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.
Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una contro società di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una contro società che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la contro società degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è. ”

 [Tratto da Romanzi e racconti – volume 3°, Racconti e apologhi sparsi, i Meridiani, Arnoldo
Mondadori editore. Pubblicato su la Repubblica, 15 marzo 1980].

martedì 13 novembre 2012

Lavoratori? PRRRRRRRRR!!!!!!

Visto che in questi giorni si parla delle modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, mi è tornata alla mente questa memorabile scena, tratta da "I vitelloni" del grande Fellini.




Una curiosità: il termine vitelloni è un'espressione che veniva utilizzata a Pescara nell'immediato dopoguerra (il film è del 1953).  Il termine vitellò (vitellone), infatti, era usato a Pescara per indicare quei giovani nullafacenti che trascorrevano le loro giornate senza lavorare. A quel tempo, tra i giovani era facile salutarsi dicendo "Uhe vitellò cum'a sti'?" ("ehi vitellone, come stai?"), sia perché la disoccupazione giovanile era dilagante, sia perché il termine era entrato nel gergo comune. 
Questo termine, utilizzato nel dialetto pescarese, è andato scomparendo nel corso degli anni.








domenica 4 novembre 2012

Cena 10 novembre



 Sabato 10 Novembre  alle ore 20.00

Presso il Circolo di Canegrate

CENA di AUTOFINANZIAMENTO

Per una politica pulita e … per festeggiare

Il menù principale sarà costituito da:
antipasto con salame nostrano
cotechino caldo e crema di lenticchie
 polenta e cassoeula
vino
 acqua
  caffè.
Menù privo di carne per i vegetariani
Naturalmente per tutti polenta e zola

Il costo sarà di 20 euro a persona, 10 euro per i ragazzi al di sotto dei 12 anni,
gratuito per i bimbi sotto i 6 anni.

Le prenotazioni saranno raccolte entro mercoledì 7 novembre da Rosa Bortignon
(3403630609) e Gerry Bienati (gerryfracastoro@gmail.com); è importante segnalare
al momento della prenotazione se si desidera un menù vegetariano.