Il decimo comandamento per noi è “Non inquinare o
almeno ripulisci”. Il decimo e ultimo punto del progetto “Sblocca
Italia”, annunciato all’inizio di agosto, è invece assai diverso e la
dice lunga sulle chiare prospettive dell’Italia stessa. Cominciamo
dunque con il leggerlo:
10) SBLOCCA ENERGIA: “Per sviluppare le
risorse geotermiche, petrolifere e di gas naturale il progetto prevede
investimenti privati nazionali e internazionali per oltre 17 miliardi di
euro, con un effetto sull'occupazione di 100mila unità e un risparmio
in bolletta energetica per 200 miliardi in 20 anni”. Non c’è altro.
Non c’è altro,
nel senso che non c’è alcun documento che mostri l’esistenza di uno
studio in proposito, una carta con qualcosa di scritto: come e perché e
quando e chi. Chi deve investire? Lo Stato, le regioni, i privati? Gli
italiani, gli stranieri? Subito o quando? Sappiamo che tutti questi
punti sono noiosi e non piacciono agli ascoltatori. Tutti siamo abituati
ai personaggi della Tv e della radio usi a tagliare corto: “restano
solo venti secondi; ma ci spieghi professore, rapidamente, con una
battuta, perché la spending review la lascia perplesso” (oppure, in
un’altra serata ma sempre in venti secondi, “ci può spiegare perché
l’euro non la convince”, e così via). Così non ci possiamo lamentare,
non tanto almeno, se ci raccontano in un secondo di 17 miliardi, di
investimenti, 100 mila nuovi posti di lavoro, 200 miliardi di risparmio e
venti anni di tempo.
Sull’ultimo punto sembra di capire che nel
corso di vent’anni ci sarebbe un risparmio di 200 miliardi di euro per
importazioni evitate. Non ci si dice quando il periodo dei vent’anni
potrebbe cominciare, ma per farla semplice potremmo supporre che in
media investendo variamente 17 miliardi in tutto nel corso di qualche
anno si otterrebbe un vantaggio – la cui forma è oscura – superiore al
100% ogni anno e questo per, appunto, 20 anni. Calcolando in quattro
milioni i senza lavoro italiani, si potrebbe risolvere la sorte di un
quarantesimo di tutti i disoccupati, per un periodo non determinato.
Vi
sono poi gli aspetti tecnici. A parte la geotermia con il suo andamento
limitato e – a meno di errori sempre ripetibili – ben conosciuto nei
suoi limiti di Lardarello, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi
riguarderebbe a conti fatti Regione Basilicata e Mare Adriatico. In
Basilicata una parte del ceto dirigente vorrebbe davvero mettere a
frutto il proprio sottosuolo purché una parte consistente del valore
degli idrocarburi rimanesse in Regione. Solo così si potrebbe consentire
lo sconquasso, forse irrimediabile, del territorio con la conseguenza
di mettere a rischio la vocazione alle attività agricole, culturali, e
turistiche. Quanto varrebbe, in termini negativi, questa corsa al
petrolio e al gas nelle Valli lucane, con pregiudizio per le spiagge e i
borghi? Un miliardo, due miliardi l’anno sottratti a buoni lavori?
Quanti i posti di lavoro perduti?
Il caso dell’Adriatico è quello
di maggior peso. I potenti italiani, rappresentati al governo dalla
ministra per lo sviluppo economico Federica Guidi si sono molto
emozionati per le dichiarazioni croate sulla ricerca petrolifera in
mare. Invece di ostacolare con molte buonissime ragioni quelle
iniziative, il governo italiano, sospinto dalle lobbies pagate dalle
multinazionali del settore, vuole partecipare alla ricerca di
idrocarburi nel mare un tempo nostrum e cioè non solo rispondere
colpo su colpo; ma anticipare le attività altrui. È sicura la futura
concorrenza con i croati, che hanno anticipato la propria volontà di
ricerca; già si prefigurano altri scontri con altri rivieraschi: gli
sloveni, i montenegrini, perfino gli albanesi. Lo stretto Adriatico, un
mare chiuso, molto delicato, il mare di Venezia e di Ragusa, di Trieste e
di Pola, del Gargano e di Cherso, non potrà reggere centinaia, forse
migliaia di pozzi, di strutture galleggianti, di decine di navi per
organizzare la produzione, trasportare il petrolio e il gas e rendere
invivibile un mare bello come tutti i mari, forse di più, ma di certo
molto fragile.
Venti secondi finali per due osservazioni; se sono
concessi ai professori dissenzienti in televisione ce li attribuiremo
anche noi. In primo luogo orientare il sistema energetico italiano al
petrolio invece che alle rinnovabili e alla riduzione dei consumi è un
errore di civiltà. Inoltre perfino in Atlantico, alle Canarie, come
hanno scritto Marina Turi e Massimo Serafini per Sbilanciamoci e sul manifesto,
c’è un movimento contro le trivelle. Occorre fare lo stesso in Italia e
insieme negli altri paesi bagnati dall’Adriatico. Anche da noi dovrebbe
affermarsi una mobilitazione e quindi qualcosa che con studi
appropriati e progetti alternativi mostri quanto è inutile e ridicolo il
sacrificio dell’Adriatico.